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PERCHE’ ALCUNI MUSULMANI HANNO IL SEGNO SULLA FRONTE?

Di Ibrahim Abdannur Iungo

Il primo pilastro dell’Islam, immediatamente successivo alla testimonianza della fede      islamica (shahada), è l’adorazione rituale quotidiana, la salat. Essa riveste una tale importanza che il Profeta Muhammad (saw) la paragonò, nei confronti della religione nel suo complesso, all’asta che sostiene l’asse centrale della tenda beduina. Nel Giorno del Giudizio, a colui che sarà stato scrupoloso nell’adempiere le sue preghiere sarà facilitato tutto il resto, mentre colui che sarà stato negligente vedrà compromesso l’insieme delle sue opere terrene. Il “cuore” della salat è la prosternazione (sujud), postura in cui l’orante poggia le ginocchia, le mani e la fronte a terra, trovandosi così – secondo una tradizione profetica – “nel momento in cui è più vicino a Dio”. Tra orazioni obbligatorie e supererogatorie, diurne e notturne, nell’arco di una giornata si può arrivare a compiere anche diverse decine di prosternazioni, in cui i credenti più pii sono naturalmente propensi ad indugiare per più di qualche istante, in quello che è un frangente di eccezionale intimità col Divino.

 

Un’assidua pratica quotidiana può dunque provocare la formazione di lievi callosità sulle ginocchia e sulla fronte, in corrispondenza delle aree interessate dal sujud, soggette ad un ripetuto sfregamento. Quando si fanno particolarmente evidenti, queste callosità frontali sono popolarmente conosciute come zabiba, “uvetta”; esse possono risultare più o meno estese, a seconda di diversi fattori “materiali”: la sensibilità della pelle, una particolare predisposizione cutanea, il tessuto del tappeto (sajjada) utilizzato per le proprie preghiere, od adottato da questa o quella moschea, e così via. Può perciò talora capitare che una zabiba si sviluppi precocemente, oppure che, al contrario, non divenga visibile nemmeno dopo molto tempo.

 

Le callosità frontali sono comunque esplicitamente nominate anche nel Qur’an: “Muhammad è il Messaggero d’Iddio, e quelli che sono con lui sono severi con i negatori e misericordiosi tra loro. Li vedi inchinarsi e prosternarsi, bramando la Grazia d’Iddio ed il Suo compiacimento, ed i loro volti sono segnati dalla traccia della prosternazione” Sura al-Fath, v. 29

 

Com’è facilmente comprensibile, non si tratta semplicemente di una “traccia” fisica: il Testo sacro suggerisce sempre contemporaneamente differenti livelli di lettura. Alcuni esegeti hanno allora insistito sulla “luminosità” del volto di chi si dedica frequentemente alla contemplazione, intesa come una serenità raggiante che emana dallo sguardo; nella Prossima vita, inoltre, sarà poi proprio questa luminosità diffusa a distinguere i contemplativi tra gli altri credenti. Altri interpreti vi hanno letto piuttosto le “tracce” della stanchezza, dovuta alle lunghe veglie notturne, considerate particolarmente meritorie, tanto da dire allegoricamente, secondo una tradizione profetica, che Iddio sia “più vicino alla Terra” durante la notte, rispetto che al resto della giornata. In ogni caso, il significato “letterale” del versetto appare comunque chiaro, e diversi commentatori l’hanno spiegato proprio indicando la formazione di un lieve callo sulla fronte, in corrispondenza dell’area interessata dal sujud. Qualcuno ha peraltro rilevato la generale assenza della zabibah dal volto femminile. A questo proposito, ci sono almeno due aspetti da tenere in considerazione, tra gli altri. In primo luogo, è assai probabile che la maggior parte delle donne che assolvono con assiduità alla complessa sequela di adorazioni ordinarie e straordinarie previste dalla Tradizione, non siano donne di cui si possa osservare agevolmente la fronte: per il vestiario particolarmente pudico, per una limitata frequenza di uscite e di contatti con persone estranee all’ambito familiare, per la soggezione in cui possono indurre, inibendo così di fissarle direttamente in volto, e così via. D’altronde, la sospensione del rito di adorazione quotidiana durante il periodo mestruale può senz’altro agevolare il periodico riassorbimento di eventuali formazioni callose, che invece nel caso degli uomini vengono ripetutamente stimolate senza alcuna interruzione, salvo in caso di grave malattia, di qualche forma di infermità, etc. Ma Iddio è più Sapiente.

 

V’è poi, infine, una consolidata tendenza a derubricare la zabibah ad espediente estetico, attraverso cui ostentare una supposta religiosità e riscuotere un qualche riconoscimento sociale. A tal proposito, si moltiplicano gli aneddoti satirici su coloro che si procurerebbero artificialmente delle cicatrici frontali, per ottenere un effetto analogo a quello dello sfregamento tipico della prosternazione rituale (sujud). Ci sono almeno due ordini di considerazioni da richiamare, in tal senso. Il Profeta Muhammad (saw) raccomandava di tramandare anche solo una sua frase, od un solo versetto, perchè è possibile che chi riceve una parte della conoscenza ne possa comprendere e beneficiare più e meglio di colui che l’ha trasmessa. Mutatis mutandis, da un punto di vista “sociologico”, l’esibizione di una callosità riconducibile al culto islamico sarà comunque di gran lunga preferibile ad una equivalente “esibizione” di abiti firmati od automobili di grossa cilindrata; testimoniando due diverse idee di società – contemplativa o consumistica, in questo caso – e trasmettendo un preciso incipit al contesto in cui vivono, queste forme di “esibizione” interrogano in modo completamente diverso coloro che vi vengono a contatto, suggerendo una “gerarchia valoriale” completamente differente. Ed è certamente meglio che, ad esempio, un adolescente si interroghi sulle ragioni di un’adorazione così assidua, piuttosto che ingegnarsi a racimolare i soldi per acquistare l’ultimo modello di scarpe da ginnastica, indossato da un compagno di classe. D’altra parte, questo chiaramente non esaurisce affatto la dimensione “spirituale” della questione; ma che il callo della fronte rifletta un callo del cuore, ovvero che ai segni materiali della prosternazione corrisponda effettivamente una corrispondente “umiliazione” interiore del credente dinanzi al suo Signore (ciò che è la questione centrale della fede), non sta certo a me giudicarlo, né a chicchessia: la niya, l’intenzione spirituale che sostà ad ogni atto di culto, è un segreto esclusivo tra Dio ed il Suo servo. Io posso (devo) limitarmi a consigliare mio fratello, a criticarlo discretamente se mi sembra di scorgerne degli errori, aiutandolo a correggersi laddove possibile; ma se ho la pretesa di giudicare l’intima “qualità” della sua fede, allora mi sto pericolosamente accostando all’arroganza di Iblis, che disse di nostro padre Adamo – su di lui la Pace: “Io sono migliore di lui” Sura al-A’raf, v.12. Ed Iddio disse a chi sosteneva presuntuosamente che una certa persona non sarebbe mai stata perdonata da Lui: “Io l’ho già perdonato, mentre tu [per l’arroganza dimostrata nei suoi confronti] dovrai rispondere anche delle sue mancanze!”.

 

tratto da: http://ribat-almujahid.blogspot.com

 

Tratto da “Mondo Islam” n. 4

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