Cammini verso la pace
Tutto è stato detto a proposito del malessere dei musulmani, delle loro crisi, i loro difetti, la loro incapacità di far fronte alle sfide contemporanee. L’Islam, oggi, gode di cattiva fama e i musulmani vengono attaccati quotidianamente a causa delle violenze perpetrate in loro nome o la discriminazione nei confronti delle donne o dei “non-musulmani” che alcuni giustificano con i loro insegnamenti. All’interno, i musulmani sono loro stessi i maggiori critici dei loro errori e fallimenti: si lamentano dei loro studiosi, dei loro leaders, delle loro divisioni, dello stato delle società a maggioranza musulmana in cui l’istruzione è un disastro, un miraggio la giustizia sociale e i sistemi politici delle tane di corrotti. All’esterno come all’interno, la conclusione è chiara: la crisi è profonda e i dubbi minano coscienze e fiducia. Nel silenzio, o in reclami, paure, sofferenza, frustrazioni e lacrime. C’è una via d’uscita dalla prigione delle finzioni, delle messe in scena, lamentele perpetue e sterili critiche: esiste un cammino verso un’autocritica costruttiva, la fiducia e la libertà? Quali sono i sentieri che ci conducono alla pace ?
Tutto inizia con un paradosso. La sorgente della libertà dell’essere si cela in seno alla padronanza di sé. Lontano dalle percezioni che gli esseri umani possono avere di noi, al di là delle nostre perpetue lamentele, abbiamo un bisogno profondo di silenzio, di introspezione: il silenzio della coscienza. Ascoltare i nostri cuori, riconoscere i nostri bisogni. L’Islam ci insegna, come tutte le spiritualità, che non si diventa se stessi e non si accede mai alla libertà, contro gli altri o contro i giudizi esterni, fondati o infondati. Essere, è tornare alla propria coscienza, alla propria intelligenza, al proprio cuore e impegnarsi personalmente, secondo le proprie capacità, a conoscere ed educare se stessi. La conoscenza di Dio, ci ricorda il Corano dimora “tra l’essere umano e il suo cuore”: è un invito alla consapevolezza di sé, alla coscienza, alla responsabilità. E ‘soprattutto un invito a capire, capire se stessi, a capire la nostra fede e pratica di credenti. L’Unico chiama gli esseri umani a diventare esseri di coscienza, ad assumersi e diventare, contro ogni ostacolo, attori del bene, di benessere e pace.
Tutto ciò inizia evitando le ossessioni formaliste e gli insegnamenti che sostengono che la forza della fede si misuri con l’imposizione di misure restrittive di ciò che è islamicamente interdetto. La forza della fede sta nel capire gli obiettivi del cammino. Credere è capire … capire anche che a volte la nostra ragione non capisce e non può capire tutto. Ma è innanzitutto accedere al significato fondamentale del “Tawhid”, l’unicità del divino: riconoscere la presenza del Divino nel proprio essere, osservare i Suoi segni nell’universo e imparare a dire grazie per gli esseri che amiamo, la natura che ci cirdonda e la bellezza offerta. La fede comincia ringraziando, come diceva il saggio Luqman a suo figlio, e non possiamo ringraziare se non capiamo la natura dei doni ricevuti. Il nostro tempo ci insegna a lamentarci in fretta di quello che ci manca e trascuriamo troppo velocemente di essere grati per le ricchezze che l’Uno e la vita ci offrono nel silenzio delle invisibili risorse dell’essere. Un altro paradosso: un cuore che sa che la sua ricchezza è legata al fatto di capire i propri difetti e la propria povertà. Lontano da giudizi, lontano da discorsi dogmatici, i musulmani hanno bisogno di questo silenzio, di questa introspezione: questo viaggio verso la loro ricchezza di cuore, di coscienza e di pace. La sfida attuale è di meglio capire, meglio amare se stessi e amare meglio. La spiritualità è questa luce della coscienza e del cuore che coglie il significato profondo e illumina la strada.
Si tratta di libertà. Ciò che spesso imprigiona la coscienza musulmana contemporanea è la superstizione delle masse e l’elitarismo di troppi circoli di studiosi (ulama) e di mistici (sufi). Quando l’insegnamento dei principi e della ritualità è basato unicamente su i limiti e divieti, vediamo sempre più dei musulmani comuni dare il loro cuore ai “santi” morti; e giovani istruiti impegnarsi in circoli di studiosi o di mistici chiusi, elitari, convinti di essere loro quelli che “capiscono” mentre”le masse” sono quelle che seguono ciecamente. Questi due atteggiamenti sono davvero i sintomi della crisi attuale. Islam e musulmani hanno bisogno di insegnamenti che rispettino tutti gli esseri, donne e uomini, ricchi e poveri, i bianchi come i neri, gli asiatici e ogni altro essere umano. Degli insegnamenti che proprio perché rispettano ogni coscienza, ogni intelligenza e ogni cuore tengono conto delle realtà sociali, le storie, le memorie e culture circostanti. Il rispetto del popolo consiste a non accettare che cada nella superstizione, l’idealizzazione di “santi” o si sapienti, o in una eccitazione emotiva, cieca, che trasforma le dinamiche popolari in un pericoloso populismo (di cui il più pericoloso è proprio quello religioso). L’umiltà dei cittadini istruiti e degli studiosi consiste nel non smettere mai di studiare e di servire: perché, in fondo, le sfide di quest’ultimi sono proprio l’ego, il denaro e il potere … musulmani o non.
Dobbiamo smettere di lamentarci anche se la vita non smetterà di farci soffrire e piangere. I musulmani hanno bisogno di riconciliarsi con la forza di questo messaggio. Ritrovare il Divino nel dialogo intimo e ritrovarsi nella fiducia. Diventare responsabili: la prima libertà. Mai perdere la speranza, questo è il messaggio fondamentale dell’Islam. Essere, conoscersi, ringraziare e servire con l’intima convinzione che la pace è nell’intenzione e nel significato dell’azione e non nella visibilità dei risultati o il rumore degli applausi. Un filosofo osservava che “ciò che non uccide ci rende più forti” … la vita, che per definizione stessa non ci può mai uccidere completamente, deve essere il cammino che ci rende più forti spiritualmente. Ci vuole tempo, fiducia, silenzio, e prendersi cura di se stessi. L’Islam ha bisogno di musulmane e musulmani che capiscano bene i suoi insegnamenti, che si sforzino di viverli, e diventino i testimoni davanti agli esseri umani e alla natura, del suo messaggio luminoso, semplice ma esigente: se credi cerca, quando cerchi ami, quando ami servi, se servi preghi…
La riconciliazione con se stessi, la forza della propria autonomia e libertà, passa attraverso la mediazione dell’altro, il rispetto verso di lui, il porsi a suo servizio. Come i segni dell’universo ci rimandano ai segni della nostro essere più profondo, come l’ordine del cosmo è specchio della pace del cuore, così è necessario imparare, cercare, capire, uscire da se stessi. Amare, servire, è uscire da se stessi: uscire da se stessi è una promessa di riconciliazione con se stessi. Un ultimo paradosso, dunque, ma una così bella verità.
Tariq Ramadan
Traduzione Patrizia Khadija Dal Monte
tratto da: http://www.islam-online.it/