Il Corano, legame tra il Misericordioso e l’uomo
Bismillahi al-Rahmani Al-Rahim
Al-Salamu ‘aleykoum wa Rahmatu Allahi Ta’ala wa Barakatuhu
Più che un intervento formale sul Corano, sulle sue caratteristiche e sulla sua storia, la mia si propone d’essere una riflessione su cosa dovrebbe rappresentare nella nostra vita e nella nostra quotidianità di musulmani, il Corano. Non desidero fornire delle informazioni facilmente accessibili e reperibili nella sterminata letteratura esistente riguardo il Libro dei musulmani da qualsiasi musulmano e non musulmano, e nel nostro caso particolare elaborate nell’ottima introduzione alla nuova traduzione del Corano della prof.ssa Zilio-Grandi, edita da Mondadori, ad opera di Alberto Ventura. Cercherò quindi fornire degli spunti di riflessione sullo statuto e sul ruolo che dovrebbe avere il Corano nella vita di ogni credente di fede islamica:
Ogni musulmano pensa, dal più profondo del suo cuore, che le parole del Corano sono le parole rivelate al Profeta Muhammad (*) per la durata di 23 anni, e quando legge il Corano, lo legge col cuore, lo comprende col cuore, e lo interpreta attraverso la ragione. Il Corano detiene un posto privilegiato nella vita dei musulmani: è un messaggio destinato all’intera umanità, giunto dopo i Salmi di Davide (Dawūd), la Torà di Mosè (Mūsa) ed il Vangelo di Gesù (¼Isa), il Corano perfeziona e conclude il Messaggio divino per tracciare la Retta Via (al-Huda)per tutti gli esseri umani.
Si tratta di un Libro che proviene dal Signore e Creatore dei Mondi, min Rabbi al-3alamin, cosa che impone a coloro che credono in Lui, ai musulmani, il riconoscimento dello statuto di questo Libro.
Dal momento che esiste un Libro, c’è una responsabilità individuale ad averne accesso. Vi è cioè un dovere di lettura, per ogni musulmano, e da questo dovere deriva il diritto a leggere il Corano. La prima parola del Corano non a caso è “leggi”, iqra’a e il dovere alla lettura ci porta automaticamente a pensare al diritto all’apprendimento, all’istruzione. L’Islam combatte l’analfabetismo e si pone contro ogni forma d’ignoranza, sia essa femminile o maschile.
Il Corano rappresenta quindi per il musulmano una responsabilità individuale. Per la coscienza musulmana è kalamu-Allah, Parola di Dio e il Profeta Muhammad (*) l’ha ricevuta e trasmessa senza alcuna alterazione.
Dio parla attraverso questo Libro a ciascuno di noi, e per l’eternità. Il che significa che non si tratta di un libro qualsiasi da mettere accanto agli altri nella propria biblioteca, non è neppure, dal punto di vista musulmano, un libro da poter leggere in qualsivoglia situazione, ma è un libro che provenendo da Colui che tutto ha creato, esige adab, ovvero un comportamento rispettoso; non ci possiamo porre dinanzi a questo Libro come capita, non possiamo neppure leggerlo come capita. Ad ogni musulmano è richiesto fare uno sforzo per salmodiare correttamente il Corano, la tilewat-al-Qur’an (la corretta lettura coranica).Nella Sura dell’Avvolto, surat-al-Muzzammil, Allah chiede a Muhammad di “Recitare il Corano salmodiandolo” ovvero di recitarlo con cura, lentamente, distintamente. La corretta pronuncia fa parte di adab al-qira’a, ovvero di un corretto comportamento nei confronti della lettura coranica. Lo sforzo per la corretta pronuncia di ogni singola lettera del Corano rappresenta un atto d’adorazione. Abu Hamid al-Ghazali afferma nella sua imponente opera Ihya’ ¼ulum al-din, “la Rivitalizzazione delle Scienze della religione” che un sapiente aveva dato questa definizione: “ogni lettera della parola d’Allah è più grande di una montagna, e se gli angeli si riunissero per spostare una sola lettera, non potrebbero farlo fin quando il Serafino, l’angelo della “tavola custodita”, non venga a spostarla con l’autorizzazione d’Allah e non per sua forza ed energia”[1]. La “tavola custodita”, in arabo lawh mahfuz, è quella su cui è iscritto il Corano, rivelato nella “Notte del Destino”, Laylat-ul-Qadr, nella quale la parola di Dio è discesa tutta insieme dal cielo più elevato sino al cielo di questo mondo. Successivamente, dal cielo più basso alla terra degli uomini, il Corano è stato rivelato al profeta Muhammad un po’ alla volta, attraverso diverse rivelazioni storicamente datate nell’arco di 23 anni.
Il Corano ha vari nomi, ognuno dei quali ci fornisce un prospettiva su cosa rappresenti il Corano stesso, il suo messaggio, il cammino da esso tracciato.
Al-Qur’an: la lettura, la recitazione.
An-Nur: la Luce, che è ciò che ci permette di vedere il mondo, è ciò che è chiaro, che ci mostra la via da percorrere
Adh-Dhikr: ovvero il ricordo (quello di Dio).
Al-Furqan: Dalla radice fa-ra-qa che vuol dire “dividere, separare”. È cioè la separazione del vero e del giusto, da tutto ciò che è falso e che non fa parte della Huda ossia della Retta Via.
Sin dai primi versetti della Rivelazione, Muhammad capisce che il Corano è un Libro, un Libro in fase di costruzione, ed è l’angelo Gabriele (*) a dirglielo. In una delle prime sure rivelate a Mecca, la sura 73 dell’Avvolto, al-Muzzammil, al versetto 5 Dio annuncia a Muhammad per tramite dell’angelo Gabriele (***) inna sanulqi¼ alayka qawlan taqilan, ovvero “faremo scendere su di te parole gravi”.
Per capire cosa rappresenti il Corano per i musulmani è possibile analizzare alcuni versetti: la prima sura del Corano, la Sura della Vacca, rivelata a Medina, recita: Bismillahi al-Rahmani al-Rahim, In nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso 1 Alif, Lam, Mim. Dhalika al-kitabu la raiba fihi huda lil-muttaqin che vuol dire “Alif, Lâm, Mîm.2 Questo è il Libro su cui non ci sono dubbi, una guida per i timorati”. Questo versetto ci fa capire che non possiamo considerare questo Libro come guida se non attraverso la coscienza di Dio, attraverso la Taqwa. L’aggettivo dimostrativo dhalika, poi, per chi conosce l’arabo indica una dimensione di lontananza, ovvero la coscienza che vi è un Libro lontano, ma che la Rivelazione è vicina. Il Libro, dunque, non ci svela i suoi segreti, i segreti della sua Luce, se non c’è già della Luce (al-Nur) nel nostro cuore. Per far si che il Corano parli al nostro cuore dobbiamo credere in Dio (*), perché nel riconoscere Dio troviamo la direzione (al-Huda) del suo Messaggio. Il non musulmano trova nel Corano numerose ripetizioni, ripetizioni delle stesse storie, il che è vero se leggiamo il Libro da un punto di vista razionale, intellettuale. Anche noi musulmani potremmo trovare ripetizioni o contraddizioni leggendo il libro di una diversa tradizione religiosa. Ma quella che per i non musulmani è una ripetizione intellettuale, per i musulmani è una conferma spirituale. Più noi musulmani lavoriamo sulla nostra taqwa, sulla nostra spiritualità, più il Corano ci rivela il suo Messaggio e viceversa. Si tratta di un lavoro infinito, ad ogni nuova lettura il Corano parla al nostro cuore inviandoci nuovi segnali, nuovi messaggi, poiché ogni parola ed ogni radice in arabo racchiudono un oceano di significati (in arabo le parole sono formate da radici trilittere e, più raramente, quadrilittere).
Un altro indizio per capire lo statuto del Corano è nei primi 3 versetti della Sura del Compassionevole (al-Rahman): Bismillahi al-Rahmani al-Rahim, In nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso 1. Il Compassionevole, 2. ha insegnato il Corano, 3. ha creato l’uomo ( al-Rahman, ¼allama al-qur’ana, khalaqa al-insana). Da questi versetti di evince innanzitutto che il Corano è una Rahma, ovvero una misericordia per il mondo intero, e questo ci fa venire in mente un altro versetto, il 107 della Sura dei Profeti, in cui Dio (*) si rivolge a Muhammad (*) in questi termini: Non ti mandammo se non come misericordia per il creato, in cui ritroviamo la parola Rahma: Wa ma arsalnaka illa rahmatan lil-¼alamina.Ritornando ai primi 3 versetti della Sura del Misericordioso (o Compassionevole) è sorprendente notare come prima della creazione dell’uomo, Dio abbia insegnato il Corano, e questo avviene proprio per mostrare lo statuto del Corano in quanto legame tra il Misericordioso e l’uomo. Allah (*) dice ¼allama al-qur’ana, ovvero ha insegnato il Corano, quindi ritorna qui l’idea dell’importanza dello studio e della conoscenza. Lo stesso verbo ¼allama lo troviamo nella Sura dell’Aderenza o del Grumo di Sangue, surat-al-¼Alaq, ovvero nei primi versetti del Corano rivelati per tramite dell’angelo Gabriele, in cui Dio dice: ¼allama bil-qalam, ¼allama al-insana ma lam ia¼lam, ovvero Colui Che ha insegnato mediante il calamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva. Il Corano è la Rivelazione di una conoscenza, cha si rivela di due tipi:
Intellettuale: al-¼ilm, ovvero la scienza , quella che ci permette di conoscere il mondo.
Spirituale: ma¼rifat-ul-Allah, ovvero la conoscenza di Dio.
Per i musulmani, inoltre, il Corano è lo specchio dell’Universo. I primi traduttori occidentali, influenzati dal lessico biblico, tradussero le singole entità di cui era composto il Corano col termine “versetti” . La parola araba tradotta col termine “versetto”, aya, significa invece letteralmente “segno”, il Corano cioè, alla pari dell’Universo è composto da “segni”, che Allah (*) ha posto dinanzi all’umanità, al fine di meditarne il senso. Quando il cuore è legato all’intelligenza e entrambi meditano sul Corano e sul mondo, allora questi due “Libri” si parlano. E come l’Universo possiede le sue leggi fondamentali e un ordine stabilito, ai quali gli uomini non possono sottrarsi, indipendentemente dal luogo e dalla cultura in cui vivono, così il Corano stipula un codice morale e una pratica di vita che la musulmana e il musulmano devono rispettare indipendentemente dall’epoca e dalla società in cui vivono. Vi sono cioè dei fattori invariabili all’interno dell’Universo così come all’interno del Corano, e l’intelligenza umana dev’essere in grado di distinguere le leggi fondamentali, universali ed invariabili, dai modelli e dalle regole legati alle circostanze storiche e culturali.[2].
Il Corano infatti è un testo che fa riferimento al mondo e a tutti i tipi di testi (scientifici, psicologici, fisici, matematici). Non esiste in Islam l’idea che lo studio e la conoscenza del Corano debbano impedire lo studio altre discipline. Al contrario, lo studio della scienza, al-¼ilm, è una ¼ibada, un atto d’adorazione, perché se è fatto nel ricordo di Dio (*) rappresenta un atto meritorio.
Il Corano è un Libro facile in materia di comprensione, ma difficile per la profondità del suo significato. L’obiettivo di ogni singolo versetto è infatti legato alle circostanze della Rivelazione, e quindi non possiamo capirlo se non lo caliamo nel suo contesto storico e culturale. È per questo che la conoscenza delle Cause della Rivelazione (asbab an-nuzul) si rivela fondamentale. Eludere quest’aspetto significherebbe non prendere in considerazione l’intento educativo e pedagogico che il Testo coranico ha e aveva nei confronti della società dell’epoca. Non esiste alcun studioso, di nessuna scuola giuridica, che non consideri le asbab al-nuzul, la scienza delle Cause della Rivelazione , nessuno di loro direbbe che è possibile operare istinbat al-akham al-shar¼iyya, cioè estrarre le prescrizioni della giurisprudenza islamica senza tenere conto delle Cause della Rivelazione. Il Corano è quindi un libro che possiamo capire solo se il proprio cuore è legato alla propria intelligenza[3].
La dimensione dell’interpretazione coranica ha inizio sin da dalla prima parola del Corano, quell’iqra’a iniziale, leggi. L’interpretazione coranica, che comprende il ta’wil, e il tafsir, è sottomessa a delle regole, come la conoscenza dell’arabo, della sua grammatica, delle Cause della Rivelazione e del messaggio coranico globale. Si tratta quindi di un operazione che richiede un alto livello d’istruzione. La cosa straordinaria nell’Islam è che esiste un solo Libro sacro ma diverse sue interpretazioni accettate sin dall’inizio della storia dell’Islam. È cioè straordinario come la religione del’Unico Dio abbia accettato tra i musulmani la divergenza di opinione nei limiti delle regole dell’interpretazione. E sono proprio le norme della lingua araba a permettere queste diverse interpretazioni. Il significato delle parole permette infatti un certo margine d’interpretazione. Esiste quindi un fattore “democrazia” per quanto concerne l’interpretazione coranica, che resta comunque sempre e solo appannaggio degli esperti. Il Profeta Muhammad, inoltre, ha accettato sin dall’inizio il fatto che tra i suoi “Compagni” esistessero diversi tipi di lettura coraniche. Esattamente 7 sono quelle riconosciute dagli studiosi. Tutto ciò ci fa capire che abbiamo bisogno di ¼ilm, che abbiamo bisogno d’imparare a leggere e ad essere in contatto con questo libro. Quando cominciamo a far ciò, impariamo l’umiltà e a pensare che ciò che capiamo non è forse la sola cosa che può essere compresa. Dobbiamo imparare anche a citare il Corano con umiltà, non a caso molti studiosi musulmani quando finiscono un loro discorso dicono wa Allahu A¼lam, ovvero è Dio il migliore conoscitore oppure ripetono al loro pubblico “Se doveste trovare nel Corano e/o nella tradizione profetica, i due più importanti fondamenti del diritto islamico, qualcosa che contraddice ciò che ho appena detto, lasciatelo perdere”[4]. Il Corano è cioè una palestra d’apprendimento dell’umiltà intellettuale. Chi era più umile del nostro Profeta Muhammad (*), se pensiamo che una delle condizioni del patto d’alleanza col Profeta da parte delle mubay¼āt, ovvero delle le donne che prestavano giuramento di fedeltà a Muhammad (*) durante i 23 anni della rivelazione Coranica, era l’accettazione delle decisioni del Profeta Muhammad riguardo tutto ciò che veniva considerato il “bene comune”, al-ma¼rūf. E’ interessante notare come il Corano ponga come condizione di quest’obbedienza il bene comune, anche se si trattava di Muhammad stesso, stimato per la sua eccellente condotta morale[5].
Inoltre, i precetti del Corano legati agli affari sociali (al-mu¼amalāt) come il matrimonio, l’eredità, le sanzioni penali e le transazioni commerciali, non potrebbero essere compresi e applicati senza gli obiettivi supremi del Legislatore Divino, che non è altri che Allah (**) (i maqasid al-shari¼a), elaborati dall’Imam andaluso al-Shatibī, studioso dei fondamenti della giurisprudenza islamica vissuto a Granada nel XIV secolo. Tra di essi si possono annoverare l’educazione dell’individuo all’Unicità Divina, l’osservanza del modello rappresentato dal Profeta Muhammad, il radicamento delle buone usanze, la solidarietà sociale, la garanzia della dignità umana,ecc. Il lettore che intende applicare le regole presenti nel Corano senza fare un lavoro di contestualizzazione e di presa in considerazione dell’ambiente in cui vive, devierà senza dubbio dagli obiettivi (al-maqasid) e tradirà i precetti divini fondamentali. I maqasid servono proprio a mettere in luce come vi sia della saggezza dietro ad ogni prescrizione divina e come nulla sia lasciato al caso. D’altra parte, lo studio del Corano non può dissociarsi dalla conoscenza della vita del Profeta (*), poiché è stato proprio lui a rappresentare l’applicazione più concreta del Messaggio Divino[6].
Il Corano ha da sempre interpellato le coscienze, credenti e non. I musulmani, come abbiamo detto, lo considerano il Verbo divino, inimitabile, e preservato da qualsiasi falsificazione. I non musulmani gli riconoscono almeno la sua influenza sulla storia, le civiltà e le culture. L’arabo classico, la lingua del Corano, non è ovviamente quella che incontriamo al giorno d’oggi nei diversi paesi arabi, che usano dei dialetti fatti di un miscuglio d’arabo e d’altre lingue. Da qui le difficoltà che trovano gli stessi arabi nel carpire la terminologia coranica e il suo senso. Numerosi e rimarchevoli sforzi sono stati intrapresi al fine di realizzare delle traduzioni del Libro di Dio in quasi tutte le lingue del mondo. All’inizio della seconda metà del secolo scorso il Corano era già stato tradotto in 118 lingue. La fedeltà al testo arabo resta un criterio di qualità fondamentale, ma al tempo stesso la traduzione dev’essere legata al significato e allo scopo dei versetti. Per questa ragione sarebbe inconcepibile tradurre il Corano in modo letterale, poiché si finirebbe col deviare dal reale significato e scopo dei versetti. Una traduzione del Corano non può perciò ch’essere esplicativa ed interpretativa[7].
L’Altissimo ha voluto che la Sua ultima Rivelazione fosse in arabo, in una lingua chiara e in uno stile letterario incomparabile. In diversi casi Allah (**) ci ricorda che il Corano è stato rivelato in una “lingua araba chiara”, ad esempio:
Sura 12 (di Yusuf), vers. 1-2, 1. Alif, Lâm, Râ. Questi sono i versetti del Libro esplicito (al-mubin).
2. In verità lo abbiamo fatto scendere come Corano arabo, affinché possiate comprendere.
Sura 26 (dei Poeti), vers. 195. in lingua araba esplicita (¼arabiyy mubin)
La Parola di Dio vuole essere universale ed accessibile all’intera umanità. Il Profeta Muhammad trasmise la Parola rivelata ai suoi sahaba, ovvero Compagni, e chiese loro di diffonderla il più possibile. Educò un’intera generazione di donne e uomini che avrebbero diffuso il Messaggio Profetico. Tra i primi musulmani in tanti non erano arabi, e sin dai primi tempi della Rivelazione si dovette pensare alla traduzione del Messaggio Divino in diverse lingue. Alcuni sahaba si misero dunque ad imparare nuove lingue: Salman al-Farisi imparò il siriaco con lo scopo di propagare la Parola rivelata presso i commercianti siriani che passavano per La Mecca. I compagni che erano emigrati in Abissinia cinque anni dopo la Rivelazione, portarono con loro i primi versetti del Corano, e dovettero di sicuro spiegarli nella lingua locale. Non bisogna confondere l’arabo come lingua del Corano con l’idea che la cultura araba sarebbe quella propria dell’Islam. I principi dell’Islam permettono infatti d’integrare le culture del mondo intero. Le lingue sono viste nell’Islam come delle benedizioni e dei segni; anche la diversità di costumi e tradizioni è una ricchezza che l’umanità deve preservare e sulla quale meditare. In questo senso le traduzioni del Corano devono tentare di trasmettere il contenuto e il senso del Testo e allo stesso tempo cercare di adattarsi alla natura della lingua di traduzione, al suo ritmo, alla sua poesia[8].
Attualmente, l’unanimità degli esperti sostiene gli sforzi per la traduzione del senso (o dei sensi) del Corano, e vieta le traduzioni letterali che non potrebbero tradurre lo spirito del Messaggio. Il Libro di Dio è perfetto, mentre la traduzione umana conosce dei limiti e si rivela di natura imperfetta. D’altra parte, ogni traduttore non può mai ritenersi totalmente soddisfatto del proprio lavoro e vi troverà continuamente delle modifiche da apportare. In questo senso, l’umiltà dei traduttori e la loro insoddisfazione rappresentano tutte delle qualità che vanno a loro merito[9].
Secondo quanto affermato dal Profeta Muhammad (*), ogni sforzo realizzato al fine di riuscire a leggere anche una sola delle lettere del Corano equivale da dieci a settecento buone azioni (hasanat), ricompensa però che vale solo per la lingua originale. Allo stesso modo anche la salat, la preghiera rituale, si pratica solo in lingua araba. Sarebbe dunque auspicabile che ogni musulmano imparasse della lingua del Corano. Più che uno sforzo intellettuale, sarebbe un atto d’adorazione.
Chiediamo dunque al Signore (**) di facilitarci l’accesso al Suo Libro e di poter avvicinarci sempre più al Corano, per poter essere sempre più vicini a Lui (**).
Wa Allahu A¼lam, e Dio è il migliore Conoscitore
NOTE:
*Salla Allah ¼alayhi wa sallam.
**Subhana wa Ta¼ala.
***¼Alayhi al-Salam
Lucia Aurelia Kawthar Rallo
[1] Imam Abu Hamid al-Ghazali La revitalisation des science de la religion, Le livre des éthiques de la lecture du Coran, pag.300.