Islam e socialismo
Negli ultimi decenni gli stessi musulmani hanno dibattuto a lungo il tema dei rapporti tra Islam e socialismo, basandosi però su una conoscenza spesso superficiale del socialismo. Prima di procedere, cerchiamo di chiarire che cosa sia il socialismo. Una definizione abbastanza esatta e completa è quella data da Durkheim, secondo il quale: «II socialismo non è un scienza, una sociologia in miniatura – è un grido di dolore, di rabbia, emesso dagli uomini che avvertono più acutamente lo stato di malessere collettivo. Riferito ai fatti che lo determinano, il socialismo è paragonabile ai gemiti di un malato rispetto alla malattia che lo affligge e ai bisogni che lo tormentano». Un’altra caratteristica principale del socialismo è il principio secondo il quale «è indispensabile un collegamento tra tutte le strutture economiche, o alcune di esse, oggi esistenti, e i centri direttivi della società». Il principio della lotta di classe, dell’abolizione della proprietà privata, e molti altri principi, appartengono a tendenze particolari del socialismo piuttosto che all’ideologia socialista vera e propria. Solo riferendoci a questa definizione del socialismo possiamo rilevare il rapporto tra Islam e socialismo. […]. Gli insegnamenti di Muhammad […] Tratterò del pensiero di alcuni musulmani piuttosto che dare una descrizione generale delle fonti del Corano. Queste fonti sono numerose e riguardano vari aspetti della vita. Comincerò con Muhammad, il fondatore dell’Islam. Egli mirava a una nuova società, in cui non ci fossero né povertà né sfruttamento. Come diceva Durkheim, il socialismo è rivolto al futuro. «II socialismo è soprattutto un piano per la ricostruzione delle società, un programma per una vita collettiva che non esiste ancora in quanto tale o quale la si sogna, e che viene proposta agli uomini perché degna della loro preferenza. È un ideale. Più di ciò che è o è stato, il socialismo si preoccupa di ciò che dovrebbe essere». La società futura desiderata da Muhammad non dovrebbe conoscere la povertà. Egli diceva che sarebbe venuto il giorno in cui una persona disposta a fare la carità non avrebbe trovato a chi farla. Nella religione islamica i poveri hanno diritto ai beni dei ricchi e ai sussidi dello Stato in nome della loro povertà. Il principio secondo il quale i beni dei ricchi debbano essere acquisiti dallo Stato per essere distribuiti ai poveri fu stabilito fin dai tempi antichi. Tale tassazione è considerata come un atto di purificazione e rispecchia l’idea che nel processo di accumulazione delle ricchezze si possano commettere ingiustizie nascoste. Questo principio ha costituito uno dei pilastri dell’Islam (zakat). Sebbene l’imposta rappresenti un quarantesimo degli averi dei ricchi lo Stato islamico può aumentarla con altri mezzi. Un principio socialista importante è l’utilizzazione del potere pubblico per prelevare i beni dai ricchi e distribuirli ai poveri. Esistono delle norme per stabilire chi debba pagare le imposte. Nel raccogliere le imposte non devono verificarsi né abusi né ingiustizie. Muhammad raccomandava di guardarsi dalle accuse degli oppressi (daawat al-madlum). Un altro principio importante del socialismo è la dignità del lavoro. Anche su questo punto l’Islam mette in rilievo il valore e la dignità del lavoro. Muhammad diceva: «Nessuno ha mai mangiato un pasto migliore di quello che si è guadagnato col proprio lavoro». L’apprezzamento del lavoro ha sempre caratterizzato il pensiero musulmano. Ibn Khaldun, un sociologo ante litteram del XIV secolo, scrisse alcune considerazioni interessanti sul lavoro, anticipando il pensiero europeo del XIX secolo. Egli considerava il lavoro e la domanda come le principali fonti di valore di un prodotto. Ma il valore, secondo Ibn Khaldun, veniva determinato anche dalla società e dalle condizioni finanziarie. […], la fonte del valore è sempre il lavoro. «È quindi evidente che i guadagni e i profitti, complessivamente o in parte, sono valori ottenuti con il lavoro umano». Il rilievo dato da Ibn Khaldun al valore del lavoro non deriva solo da considerazioni sociologiche, ma anche dalla sua formazione islamica. Da questa formazione deriva anche il principio secondo il quale la ricchezza accumulata da alcuni è prodotta dal lavoro di altri, meno ricchi. Come riporta Abu Darda, Muhammad diceva: «Cercatemi tra i poveri, poiché voi ricevete aiuto e assistenza solo a causa della loro esistenza». Muhammad condannò Sa’d ibn Abi Wakkas (morto nel 671 o nel 675 a.C.), suo intimo amico, divenuto poi generale e capo dell’Iraq, perché aveva assunto un atteggiamento di superiorità nei confronti di coloro che erano inferiori a lui per rango e ricchezza. Egli disse a Sa’d: «Credi che esista un altro motivo per cui ricevete aiuto e assistenza, se non l’esistenza dei poveri?». Un altro amico intimo di Muhammad, Abu Dhar al-Ghiffari (morto nel 653 a.C.), diceva di lui: «II mio amico mi ordinò di osservare sette regole: amare i poveri ed essere loro vicino; tenere in considerazione le persone inferiori, e non quelle superiori; rimanere in rapporto anche con i parenti lontani; non esigere niente da alcuno; dire la verità, anche se è amara; non temere i rimproveri che io possa ricevere; ripetere spesso che “non c’è volontà né potere eccetto che in Dio”, poiché queste parole fanno parte del tesoro sotto il Trono». |
Una graduale assimilazione
[…] Per capire il problema del socialismo nel mondo islamico è necessario distinguere tra il socialismo inteso come un insieme di principi filosofici e morali, e il socialismo inteso come un programma immediato d’azione che comprenda questi principi. Sotto il profilo programmatico il socialismo islamico è molto carente, se per programma si intende un insieme di principi e di metodi da applicare al mondo islamico nel contesto attuale, così come avviene nel comunismo e nel socialismo occidentale. Il socialismo non dovrebbe essere né pura filosofia, né programmi particolari per ogni paese. Per esempio, che ne sarebbe della teoria islamico-socialista della proprietà della terra, del monopolio, dell’iniziativa privata? I programmi per i vari paesi dovranno includere tali teorie.
Nel mondo islamico di oggi si possono delineare tre tendenze diverse. La prima, quella che esercita un’influenza maggiore, difende lo status qua, basandosi su un’ideologia capitalistica e semi feudale che si esprime in termini nazionalistici. La seconda è quella nazionalistica, socialista e comunista, che si ispira al pensiero occidentale. La terza è la tendenza islamico-riformista, di cui fa parte il socialismo islamico. Di queste tre tendenze quella del socialismo islamico è la più debole, ma è anche quella che ha maggiori possibilità di sviluppo, poiché in seno ad essa sono molto attive l’elaborazione teorica e la produzione di scritti. Il socialismo islamico può trovare seguaci fra chi è contrario allo status qua, a condizione però che emergano pensatori di rilievo. Negli ultimi cento anni gli uomini di prestigio emersi tra i musulmani provenivano soprattutto dagli ambienti riformisti e islamico socialisti. Il pensiero riformista tende ad avvicinarsi sempre più al socialismo islamico. Nel mondo islamico può verificarsi ciò che è avvenuto in Occidente, dove il socialismo è emerso ed è stato poi assimilato dalla società.
Ciò che manca ancora nell’elaborazione teorica dell’Islam contemporaneo è un’analisi dell’ideologia e della falsa coscienza prevalenti nella società musulmana e nella sua classe dirigente. Si sente il bisogno di uno studio critico sulle società attuali e sul ruolo delle classi dirigenti. E proprio attraverso questi studi, promossi dal socialismo islamico, che i seguaci di questa tendenza potranno aumentare e diventare una forza imponente; il futuro del socialismo islamico dipende dall’emergere di uomini che possano sviluppare la concezione del socialismo islamico, proseguendo l’opera svolta da Afghani e da scrittori recenti.
La spinta verso il socialismo e la protesta contro le ingiustizie sono temi a cui i musulmani si interessano da molto tempo. Già nel 1913 un avvocato musulmano indiano, panislamista attivo, Shaikh Mushir Hosani Kidwai, aveva pubblicato un opuscolo su Islam e socialismo […]. Egli considerava l’Islam una forma di socialismo.
Questa valutazione dell’Islam e del socialismo fu fatta prima della rivoluzione russa, e fu ripresa nel gennaio del 1917 da un musulmano inglese. Nel 1919 Kid-wai esortò i musulmani a non dare giudizi affrettati sul bolscevismo. Dieci anni dopo espresse la sua opinione, respingendo la « dittatura del proletariato », ma approvando l’abolizione della proprietà privata della terra. Kidwai fu uno dei primi musulmani a desiderare l’emergere di un socialismo islamico. I suoi scritti ebbero una certa influenza su Tjokroaminoto.
Anche la Rivista Islamica -nata nel 1913- sviluppò il tema del riformismo esortativo. Alcuni suoi collaboratori scambiarono per socialismo la condotta esemplare e i rapporti sociali di Muhammad. Il socialismo non tende solo al benessere della società, ma ad un sistema in cui lo Stato controlli la vita economica per il benessere della maggioranza, e non per l’arricchimento di una minoranza. Esso ha elaborato metodi diversi di analisi; ha sollevato problemi nuovi; ha modificato il vecchio concetto di proprietà, di ciò che è consentito fare nell’azione economica, del valore delle classi, del ruolo del capitale e dello Stato, del significato del lavoro, ecc.
L’assimilazione del socialismo da parte dell’Islam contemporaneo sarà l’evento più importante nella storia del mondo musulmano. Il socialismo ha indicato il modo per realizzare la giustizia sociale. I principi islamici, associati alle teorie del socialismo, saranno molto utili al mondo musulmano. Questa evoluzione si deve realizzare senza l’arroganza che caratterizza la nostra generazione, poiché il Profeta ha detto: «II mio popolo è come la pioggia : non si sa se sia meglio la prima o l’ultima».
tratto da: arab.it