Studi

L’esercito di italiani che prega Allah

 

 

Tra bisogno di spiritualità e nuove paure, cresce il numero di chi abbraccia questa religione. Ma al di là dei fatti di cronaca, chi sono i protagonisti di questa rivoluzione silenziosa?

 

FRANCESCA PACI

Roma

Chi sono gli italiani che hanno abbracciato l’islam? Privilegiano il legame con la propria terra o l’appartenenza alla Umma, la grande famiglia del Profeta? Frequentano la moschea per elevare l’anima o si occupano di politica?


La storia dell’operaio convertito Andrea Campione, arrestato dalla Digos di Cagliari con l’accusa di coordinare una rete jihadista a cui sarebbero legati un professore sardo e una coppia italo-marocchina di Brescia, pone all’opinione pubblica italiana questioni che gli Stati Uniti affrontano ormai quotidianamente da quando, tra le avanguardie dello scontro delle civiltà, trovarono l’agguerritissimo connazionale John Walker Lindh, il talebano Johnny.

Secondo l’inchiesta pubblicata sull’ultimo numero del mensile Polizia Moderna il fenomeno dei cosiddetti «emiri dagli occhi blu» in sonno nelle sale di preghiera americane o europee non risparmia le nostre città, dove, già da una decina d’anni, al Qaeda e affini sfiderebbero l’incipiente declino reclutando tra i convertiti, giovani uomini votati all’odio antioccidentale e soprattutto donne alla ricerca del riscatto per l’emancipazione mancata.

Eppure, lontano dagli spot deformanti della cronaca nera, l’islam italiano è una realtà sempre più significativa sia dal punto di vista numerico (con un milione e mezzo di fedeli è la seconda religione del Paese) che culturale.

Se diventare musulmano è semplice (basta pronunciare davanti a testimoni musulmani la frase «Ashhadu an la Ilaha illa Allah, Ashhadu anna Muhammad rasulu Allah», attesto che non vi è altro Dio all’infuori di Allah e che Maometto è il suo Profeta) tradurlo nella routine di una comunità segnata dagli attentati di New York, Madrid, Londra, è meno scontato. E mentre i convertiti di prima generazione beneficiano dell’amnistia sociale concessa a scelte di gran lunga precedenti all’11 settembre 2001, i nuovi destano paure e sospetti.

«C’è uno scollamento tra i musulmani italiani di ieri e quelli di oggi che non si limita a come vengono percepiti» nota l’islamologo Stefano Allievi, autore del saggio «La guerra delle moschee».

Il ribaltamento della formula «il privato è politico» nella versione post-moderna «il politico è privato» riguarda anche la religione: «I vecchi portavano il peso delle conversioni intellettuali e vi trasferivano il retaggio dell’impegno collettivo degli Anni 70. Venivano dall’estrema sinistra, come Piccardo, o dall’estrema destra sublimata nelle letture di Guénon e Evola. I giovani sono diversi, più soggettivisti, si limitano alla moschea, accedono all’islam via Internet o attraverso i coetanei stranieri incontrati nelle periferie della società multietnica».

L’Italia che cambia è anche nei volti dei circa 50 mila convertiti all’islam, una galassia che spazia dalla velatissima moglie del famigerato imam di Carmagnola Barbara Aisha Farina, icona dell’integralismo al femminile, al raffinato intellettuale Ahmad Giampiero Vincenzo, dal cattolico deluso dalla deriva modernista della Chiesa al neofita del Corano appassionatosi per amore d’una bella straniera, da chi si pone mille domande spirituali a chi non se ne pone nessuna accecato com’è dal fanatismo.

L’ex cristiana praticante: “Picchiata dal mio fidanzato e salvata da un maghrebino. Così ho scoperto Maometto”
Durante i suoi primi 29 anni da cristiana osservante, la trentatreenne Amal Maria Rosaria Stillante seguiva la Chiesa, recitava il rosario pomeridiano, partecipava ai vespri. Nessuna sbavatura all’esterno delle pareti domestiche dietro le quali veniva picchiata dal fidanzato, italiano e cattolico: «Un giorno in cui mi aveva conciata malissimo, il maghrebino nostro dirimpettaio bussò per offrirmi aiuto. Sembrava cantasse mentre mi sollevava da terra mezza nuda e invece pregava Allah per non guardare il mio corpo. Mi parlò di Maometto e di come incoraggiasse le donne a farsi rispettare».

E’ il 2007, Maria Rosaria inizia a informarsi su Internet e legge il Corano. L’anno dopo al capezzale del padre morente gli recita all’orecchio la professione di fede e adotta il nome Amal che in arabo significa speranza. Il dado è tratto, ancora pochi mesi e la ragazza decide di indossare l’hijab: «All’epoca si dicevano tante cose brutte dell’islam, mia madre non era contenta e non capiva come avessi potuto convertirmi da sola». E invece è proprio questa la ragione d’orgoglio di Amal ora che da musulmana è continuamente costretta a giustificare la devozione che da cristiana era considerata normale: «Ho conosciuto mio marito su Facebook un anno fa, ci siamo sposati due mesi dopo. Non mi ha mai imposto niente». Unica rinuncia: la vacanza sulle spiagge occidentali che frequenterebbe solo vestita da capo a piedi.

Il grafico: “Nel misticismo dei sufi ho trovato la sacralità che non c’è altrove”
«Ho incontrato il Corano con la mediazione intellettuale di René Guenon» racconta il grafico trentasettenne Younus Abd al-Nur Distefano. L’interesse risale a quando era studente e non sentendosi «pacificato» leggeva testi di agnosticismo, filosofia indù, «robaccia occultista».

Finché partecipò a un convegno su Guenon e sull’islam organizzato dalla Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana: «Era il settembre 2001 e sull’incontro gravavano le ombre degli attentati alle Torri Gemelle. Eppure mi appassionai». Dopo un anno di studio approfondito del cristianesimo inizia il percorso di conversione e nel 2003 è un musulmano, di scuola sufista, precisa, la corrente più mistica e spirituale dell’islam che tanto poco piace ai fondamentalisti.

Lui, d’altronde, fa dottrina di tolleranza: ha sposato una ragazza cristiana che ha poi riavvicinato alla chiesa («riconosco le altre religioni anche se trovo nell’islam particolare fedeltà al sacro»), frequenta senza problemi le spiagge occidentali («Siamo fedeli all’islam ma i tempi cambiano»), non trascorre il tempo libero in moschea ma dividendosi tra la gatta Cipolla, le partite della Sampdoria e la lettura di libri come «Questioni siciliane» di Ibn Sabin.

Ricorda che all’inizio i genitori, siciliani, contestavano la sua scelta: «Un giorno in cui mio padre borbottava gli dissi per sdrammatizzare che guardando la latitudine il Padreterno doveva aver pensato che fossimo saraceni».

Il pensionato: “Illuminato nel deserto. Ho lasciato il comunismo per una religione tollerante”
Era un comunista doc Domenico Buffarini, passato dal Psi al Psiup al Pci e cresciuto leggendo Kant, Voltaire, il giovane Marx. Interessato alla politica, al lavoro alla Coreco, alla massoneria e alle minoranze oppresse come gli indiani d’America, argomento sui cui ha scritto 8 libri.

Poi, la notte del 27 agosto 1981, nel deserto dell’Arizona, diretto ai musei di Tucson, s’inginocchiò sotto la volta stellata: «In mezzo al cielo c’era la mezzaluna. Sapevo qualcosa sull’islam perché avevo seguito la rivoluzione algerina, mi aveva colpito Arafat quando aveva affermato che i palestinesi erano gli indiani d’America del XX secolo. Ma quella notte, quando uno dei pastori battisti che erano con me disse che in un momento simile di 1440 anni prima Maometto aveva ricevuto il Corano, fui sconvolto. All’islam non ci si converte, si avverte, e io ero predisposto».

Inizia a leggere la Bibbia, poi il Corano: nel 2007, a 69 anni, la professione di fede nella moschea di Vicenza. All’islam, racconta oggi, è «tornato» per via politica: «Allah non ha fondato chiese, esclude santi e miracoli, parla di religione rivelata attraverso la ragione ed espressa con la tolleranza».

Non accetta chi obietta con la jihad e al Qaeda: «L’11 settembre è un delitto contro l’umanità, un atto all’insegna di quel fascismo che i musulmani hanno imparato dal colonialismo. L’Occidente confonde l’islam con la disgrazia politica dei popoli che la praticano». Per questo Domenico Abdullah Buffarini giudica il dibattito sull’islam politico «scadente» e si sottrae.

Il consulente d’impresa: “Io, occidentale pentito: porto la barba dei Profeti e mia moglie ha il velo”
Hussein Marco Moretti è una minoranza nella minoranza: quando nel 1998 è entrato a far parte della umma, la grande famiglia del Profeta Maometto, ha scelto la shia, la corrente dell’islam al potere in Iran che conta in Italia poche centinaia di fedeli.

Classe 1982, cattolico fino alla cresima, consulente in un’impresa commerciale, Hussein Marco è un “occidentale pentito”: «Sin dalle scuole superiori avvertivo un disagio. Andavo allo stadio, mi appassionavo alla causa palestinese, uscivo con gli amici ma ero contrario al sistema di valori occidentale. L’Occidente moderno è un’anomalia che non poggia su principi sacri».

L’incontro con l’islam sui libri: Guénon, saggi su Khomeini, testi su cristianesimo, induismo, buddismo. L’ebraismo no: «Non mi ha mai interessato, ero più portato alle tradizioni orientali». La scelta di vita di Hussein Marco, che è portavoce dell’associazione sciita al Mahdi, è «totale», all’iraniana: «Porto la barba perché è prescritta. Mia moglie è velata, osserviamo il Ramadan. Andiamo in vacanza privilegiando i paesi musulmani, niente mare perché in Italia non c’è una situazione che lo permette, stiamo con nostro figlio».

Segue solo la politica internazionale: «M’interessa la nascita di nuove nazioni, il declino degli Stati Uniti, la situazione in Siria». E i terroristi convertiti scoperti dalla Digos di Cagliari? «Tanti casi simili sono evaporati. Basta leggere il libro dell’avvocato Carlo Carbucci su falsità e mistificazioni sul terrorismo islamico. Prima di giudicare aspettiamo».



tratto da: http://www.alukah.net/Translations/10739/43905/#ixzz2t6bWOGs9

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