L’Islam non vieta alla donna di lavorare
L’Islam non vieta alla donna di lavorare
Allah l’Altissimo ha creato l’uomo da un maschio e da una femmina e ha stabilito tra i due un rapporto di mutuo amore, di affetto e di rispetto tale da farli cooperare nell’intento di popolare la terra.
Allah l’Altissimo ha dotato il maschio di forza e di capacità di resistenza che gli permettono di trovare i mezzi di sostentamento necessari, ha ugualmente dotato la femmina del necessario affinché possa assumersi l’onere della gravidanza, del parto, dell’ allattamento e dell’ educazione dei figli con affetto e tenerezza.
Da questa distribuzione delle parti, il compito naturale fondamentale dell’uomo consiste nel lavorare fuori casa, mentre quello della donna consiste nello stare a casa ad accudire ai bisogni della famiglia.
L’Islam non vieta alla donna di lavorare, al contrario, le permette di darsi ad esempio al commercio anche senza il consenso del tutore o del marito.
Detto lavoro viene però circoscritto entro limiti precisi e fondato su principi che richiedono di essere scrupolosamente osservati.
In seguito si indicheranno alcune delle condizioni che reggono il lavoro femminile:
1-È necessario che non ci sia incompatibilità tra il lavoro femminile e la funzione della donna a casa, in particolare il lavoro non deve scaricare la donna dalle sue responsabilità nei confronti del marito e nei confronti dei figli, né toglierle l’incarico di reggere le vicende di casa.
Come la donna ha dei diritti presso il marito, il marito ed i figli ugualmente hanno dei diritti presso la moglie e la madre.
Il Profeta disse: “La donna deve reggere la casa di suo marito ed è responsabile del suo gregge…” ( Bukhari n° 853)
2- La donna deve lavorare in compagnia di altre donne, lontano dalla promiscuità e la presenza maschile per non rischiare di diventare preda di lupi che possano abusare di lei e calpestare la sua dignità e il suo onore.
Il Profeta disse: “Nessuno si isoli con una donna, ché Satana sarà sempre il loro terzo.” (Ibn Habbane n° 7254)
La scrittrice inglese Lady Cook scrive nel giornale Eco:
“Gli uomini sono abituati alla promiscuità; per questo la donna ambisce quello che è contrario alla sua natura.
Più grande sarà la promiscuità più numerosi saranno i figli illegittimi ed è un gran malanno.”
Said Kutb scrive da parte sua:
“L’uomo come la donna, ha diritto ad una vita di tranquillità presso il coniuge ed a non trovarsi esposto alla seduzione che al meglio distoglierà i suoi sentimenti dalla moglie e al peggio lo condurrà allo sbandamento e al peccato, il ché metterà in pericolo il legame sacro, cancellerà la fiducia reciproca ed annienterà la quiete.
Tali pericoli sono frequentissimi nelle società dove prevale la promiscuità e nelle quali la donna pavoneggia esibendo il suo fascino accompagnata dai demoni della tentazione e della seduzione.
La realtà è in contrasto con quello che ci ripetono qua e là i pappagalli e gli smarriti secondo i quali la promiscuità addolcisce i costumi, libera le energie represse, insegna ad ambo i sessi le regole della conversazione e della buona condotta e procura esperienza –anche a costo del peccato – e libertà di scelta del coniuge, garantendo per l’uno e l’altro uno stretto e durabile rapporto.
Affermo con decisione che questa tesi è smentita dalla realtà; la realtà è fatta di deviazioni permanenti, di continue fluttuazioni e costanti tentennamenti nei sentimenti, di focolari domestici distrutti dal divorzio e da altre calamità, di infedeltà coniugali reciproche in costante crescita in queste società.
Quanto alla fiaba dell’addolcimento dei costumi e della sana liberazione delle energie con gli incontri e le conversazioni, che si interroghino le allieve incinte dei licei americani in cui la percentuale raggiunge a volte il 48% !
Le rarissime coppie felici che hanno sperimentato la promiscuità assoluta e la libertà di scelta del coniuge, non devono far dimenticare le altissime percentuali di famiglie distrutte dal divorzio in America; queste percentuali sono in costante aumento man mano che aumentano la promiscuità e la libertà di scelta.”
3- La terza condizione è che il lavoro sia lecito e adatto alla natura della donna, cioè che sia un lavoro che corrisponda alle attitudini e capacità femminili e non contribuisca ad avvilirla o disprezzarla: come i lavori nei campi industriali, delle armi o nel campo della pulizia delle strade urbane.
A questo punto, non possiamo eludere di porre la domanda che segue: ma perché la donna lavora?
Se la donna lavora nell’intento di sopravvivere e prendersi a carico, l’Islam glielo evita perché le garantisce la presa a carico per tutta la vita.
L’Islam prescrive infatti al padre di prendere a carico la figlia fino al suo matrimonio, dopo di che viene presa a carico dai suoi figli.
Se le muore il marito spetta di nuovo al padre riprenderla a carico, se il padre non è più in vita, sono i suoi figli che assumono la sua presa a carico, ma se i figli sono minorenni, sono i suoi fratelli che si occupano di lei.
Dalla nascita alla morte la donna viene presa a carico nello scopo di permetterle di svolgere correttamente l’esclusiva e difficile funzione di curare il suo domicilio e di educare i suoi figli.
Il pensatore Samuel Smils che fu uno dei promotori della rinascita inglese moderna dice:
“Il sistema che prescrive alla donna di lavorare nelle fabbriche, qualunque sia la ricchezza che ne risulterà per il paese, ha come conseguenza la distruzione del focolare domestico, perché attacca la sua struttura, distrugge i pilastri della famiglia, lacera i legami sociali.
Privando l’uomo della moglie, e i figli dai loro genitori tale sistema porta solo al degrado dei costumi femminili, perché il lavoro vero della donna consiste nell’assumere la sua funzione a casa, la cura del focolare domestico, la gestione del bilancio familiare, l’educazione dei figli.
Le fabbriche le hanno sottratto tutti questi compiti, cosicché le case sono diventate ombre di se stesse, i figli crescono senza educazione abbandonati a se stessi,
l’amore coniugale si è spento, la donna non è più la sposa gentile compagna dell’uomo ed è diventata la collega di lavoro ed è ormai esposta alle influenze che spesso cancellano l’umiltà intellettuale e morale, base e terreno di coltivazione della virtù.”
la fonte:La dignità della donna nell’Iislam
di Dr. Abdul Rahman Al-Sheiha
Traduzione : Prof. Mohammed HASSANI